Violenza di genere, 16 giornate di attivismo per contrastarla

2023-02-15 15:26:48 By : Ms. Million Wu

Anche quest’anno INTERSOS ha aderito alle 16 giornate di attivismo contro la violenza di genere istituite dalle Nazioni Unite per prevenire ed eliminare la violenza contro ragazze e donne. La campagna ha inizio il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e termina il 10 dicembre, Giornata dei diritti umani. A sostegno di questa iniziativa, le missioni di INTERSOS hanno organizzato diverse attività di sensibilizzazione sui diritti delle donne, sulla violenza e l’uguaglianza di genere.

In Iraq, le attività sono state destinate alle donne e alle bambine dei governatorati di Ninewa, Salah Al Din, Erbil e Sulaymaniyah. In particolare, nel governatorato di Ninewa, nel nord dell’Iraq, INTERSOS ha organizzato attività di sensibilizzazione su violenza di genere, diritti delle donne, matrimoni di minori e violenza da parte dei partner. A queste sessioni è seguita la proiezione di brevi video formativi, poi una discussione plenaria da parte delle partecipanti, e poi sono stati distribuiti dei dignity kit, contenenti sapone, assorbenti e prodotti igienici, a donne e ragazze. Questi kit aiutano le donne e le ragazze a rafforzare l’autostima e la fiducia in sé stesse in situazioni difficili e potenzialmente opprimenti. Nel Kurdistan, le partecipanti hanno scritto anche messaggi contro la violenza di genere, hanno partecipato a sessioni di cucito e sono stati distribuiti fiori e piante come simbolo della cura per sé stesse. Poi ognuna ha lasciato l’impronta della propria mano con la vernice arancione, colore simbolo di un futuro senza violenza di genere.

In Nigeria, per aumentare l’inclusione sociale, abbiamo facilitato la partecipazione delle persone con disabilità alle attività, che hanno visto campagne di sensibilizzazione e discussioni su diversi approcci alla prevenzione e alla mitigazione della violenza di genere nell’area nordorientale del Paese. Inoltre, non sono mancate campagne di sensibilizzazione nelle scuole su uguaglianza di genere e sulla salute riproduttiva. E poi spettacoli, attività sportive ed esposizioni di prodotti artigianali presso il Safe Space di Monguno, nello Stato del Borno, con una fiera dedicata per avvicinare le donne al mondo del lavoro e creare opportunità lavorative.

In Repubblica Centrafricana, oltre a sessioni di sensibilizzazione sulle cause della violenza di genere, e a dibattiti sull’inclusione sociale delle persone con disabilità, sono state organizzate partite di calcio femminili e dibattiti radiofonici nelle regioni Bozoum, Koui e Ngouandaye.

In Siria, ci siamo rivolti anche uomini e ragazzi, con l’obiettivo di scardinare posizioni conservatrici sulla violenza di genere. Lo staff di INTERSOS si è impegnato a spiegare come si manifesta la discriminazione di genere, focalizzandosi soprattutto sui bambini per fare chiarezza sul concetto di identità di genere. Inoltre, sono state organizzate attività ricreative come sessioni di pittura, disegno e attività di decoupage.

In Sud Sudan, INTERSOS ha celebrato i 16 giorni di attivismo ad Akobo, Lankein, Ayod nello Stato di Jonglei, a Pibor nella Greater Pibor Administrative Area (GPAA), Narus e Kapoeta nell’Eastern Equatoria. Tra i momenti di discussione, di particolare impatto sono state la sessione sul legame tra violenza di genere e trasmissione dell’HIV e la discussione sulle opportunità di sostentamento per le donne nella comunità, sulle sfide e sui benefici. Inoltre, sono state organizzate delle performance nei club teatrali giovanili, delle partite di calcio tra INTERSOS e diversi membri della comunità, uno spettacolo di danza, una mostra del lavoro delle donne del Safe Space di Akobo e partite di pallavolo.

Facebook Twitter Google+ In occasione della Giornata internazionale contro l’uso dei minori nei conflitti armati, vi raccontiamo di Moussa, seguito dal nostro staff esperto di protezione dell’infanzia     Moussa (nome di fantasia) è un…

Facebook Twitter Google+ Con due cliniche mobili supportiamo il sistema sanitario ucraino fortemente sotto pressione dopo quasi un anno di conflitto     Per supportare la risposta ai crescenti bisogni e colmare i vuoti del…

Facebook Twitter Google+ INTERSOS ha già dispiegato le sue squadre mediche di emergenza nel Nord della Siria     Nella notte tra il 5 e il 6 febbraio un catastrofico terremoto ha colpito il sud-est…

Facebook Twitter Google+ Grazie al sostegno dell’Unione Europea ci prendiamo cura dei minori a rischio e delle persone con vulnerabilità nei governatorati di Hama e Damasco Rurale     Nour* è una ragazza di quattordici…

INTERSOS - Organizzazione Umanitaria Onlus Via Aniene 26/A - 00198 ROMA

CF: 97091470589 P.IVA: 12731101007 IBAN: IT 10 T 05018 03200 000015550007

Copyright © 2017 INTERSOS - Tutti i diritti riservati

Credits Privacy policy Cookie policy

Ritratto di Mais Hameed, sfollata dalla zona di Al Zab: “Vivo da 6 anni nel campo di Jeddah, perché non sono stata accolta nella mia zona di origine. La mia famiglia è accusata di affiliazione all’Isis, mio marito è in carcere, e se torno nella nostra zona di origine verrò arrestata, come hanno già fatto, davanti a me, con le mogli di due miei fratelli, quindi non voglio rischiare di tornare indietro. Mia madre ha il cancro, e se tornasse nella nostra zona di origine, verrebbe anche lei arrestata. Non ho mai lasciato la mia zona finché non siamo stati liberati e non c’erano più membri dell’ISIS. L’esercito è arrivato e sono dovuta andare via di casa. Ho iniziato a camminare e ho continuato a camminare, perché le persone che guidavano le auto non avrebbero accettato di prendermi a bordo, fino a quando non sono arrivata al campo di Jeddah 5. Ho quattro figli. Mio figlio maggiore ha 13 anni e lavora a cottimo. La mia seconda figlia ha 11 anni, la terza ha 8 anni e la mia quarta figlia ha 6 anni. Nessuno di loro ha documenti legali. I miei figli non hanno futuro. Prima dell’Isis la vita era bella, non ci preoccupavamo di niente, ma ora siamo stanchi e stiamo cadendo a pezzi”.

Ritratto di Khamis Hsein Salah. “Dopo 5 mesi in un campo, senza lavorare, siamo tornati al villaggio di Mthallath per cercare un lavoro. Lavoriamo nell’agricoltura. La mia casa è stata bruciata e non ho soldi per ricostruirla. Sono ancora un migrante non per la guerra ma per le cattive condizioni di vita. Non c’è modo di guadagnarsi da vivere nel villaggio e siamo nella stessa situazione da anni. Lavoro in questo terreno agricolo per mio cugino, non ho altro supporto. Abbiamo bisogno di stipendi, compensi per le nostre case e un centro sanitario nel villaggio. Non ci sono strade asfaltate nel paese, tutti i 7 km di strade sono in sabbia. Quando mio figlio si ammala, non posso portarlo dal dottore”.

Iraq, Rabia. Ritratto di Khalid Rabash Kanush. “Ho 60 anni. Sono uno dei leader della comunità (mukhtar), un membro del gruppo della comunità per l’advocacy e la pace e il capo dei genitori e degli insegnanti di Rabia. Questa zona è considerata una piccola comunità irachena; quando entri nei negozi Rabia, vedrai curdi, azidi e arabi sunniti e sciiti. Grazie a Dio, siamo uniti. Il 3 agosto 2014 la comunità è stata spostata da Rabia a Baghdad, Erbil e Mosul. Circa 600 sfollati interni sono tornati qui. Anche la maggior parte delle famiglie sfollate nei villaggi vicini sono tornate a Rabia. Hanno ricevuto la maggior parte del sostegno da ONG, come INTERSOS, che hanno fornito documenti legali come nazionalità irachena mancante, carta d’identità, certificato di matrimonio, certificato di nascita, nonché articoli alimentari e non. Grazie al sostegno delle ONG, la comunità ha potuto rompere il recinto e impegnarsi in modo migliore, soprattutto con le donne, migliorando le attività commerciale e l’istruzione”.

Iraq, Baiji. Ritratto di Thaer Khaleel Sahan: “Nel 2014 quando Isis è entrata nella nostra zona, siamo rimasti quattro mesi. Poi siamo andati ad Al-Jazeerah, poi siamo partiti per Ramadi, poi siamo arrivati a Tikrit dove siamo rimasti per un anno e mezzo nel campo. Quando l’area di Baiji è tornata sicura, sono tornato anche io ma ho trovato la nostra casa distrutta e non possiamo permetterci di ricostruirla. La vita è difficile, tutto è difficile, non abbiamo niente per ricostruirla com’era prima quindi la lasciamo così com’è”.