La musica elettronica a Sanremo, una storia poco italiana | Rolling Stone Italia

2023-02-15 16:16:51 By : Ms. Helen Peng

Spaccato di una tendenza minoritaria ai vecchi Festival: i suoni "sintetici" usati non come mezzo, ma come fine. Tra i protagonisti, anche un Toto Cutugno super vintage e, sì, persino Al Bano & Romina

Foto: Angelo Deligio/Mondadori via Getty Images

Sanremo ha un suo standard, chi si presenta in gara sa che ci sono aspetti musicali da tenere in conto. C’è da inserire l’orchestra, ad esempio, a prescindere dalla modernità dell’arrangiamento. Anche in questo contesto ci siano stati brani in cui l’elettronica la faceva da padrone, pezzi che si sono fatti largo in epoche in cui era ancora possibile sperimentare nel mainstream. Ecco allora 10 esempi di elettronica usata a Sanremo prima della restaurazione che stiamo vivendo oggi, un’epoca in cui l’elettronica è solo un mezzo e non più un fine. Sono artisti che hanno provato ad alzare l’asticella. Se non ce l’hanno fatta è colpa del sistema-Sanremo, di chi altri sennò?

Vacanze romane è il manifesto del techno pop italiano. Anzi, un singolo proto IDM che è eccellenza internazionale tratto da quel capolavoro che è l’album Tango. Roberto Colombo usa ogni diavoleria elettronica per surriscaldare il pezzo fino a che il feeling non supera i musicisti in carne ed ossa, il mago dei synth Mauro Sabbione escogita una lotta corpo a corpo tra dita e sequencer, i pad percussivi di Giancarlo Golzi sembrano delle mitragliate da plotone di esecuzione. La melodia italianissima di Carlo Marrale e il testo esistenziale di Aldo Stellitta creano una bolla senza tempo. Il tutto è cucito dalla voce inarrivabile di Antonella Ruggiero. I Matia Bazar si presentano sul palco senza neanche uno strumento vero. Arrivano quarti quando tutti pensano siano destinati alla vittoria. I Pooh nel 1990 si ispireranno al loro set per l’esecuzione di Uomini soli e quel Sanremo, ohibò, lo vinsero: i tempi erano finalmente maturi.

Felicità non è una canzoncina usa e getta, ma un esercito di Panzer che piano piano triturano le ossa dell’ascoltatore. Una dittatura del proletariato fatta elettronica, che ti impone di guardare le cose semplici della vita e gioirne senza tanti cazzi. Sì, è un gioire artificiale, e allora? Come sotto effetto di una droga sintetica, il mondo di Al Bano e Romina è composto di androidi che si amano meccanicamente e il capolavoro sta nel fatto che nessuno si accorga di tanta allucinante pornografia. Arrivano secondi e il brano diventa uno dei loro più venduti di sempre. Registrato a Monaco con una serie di collaboratori di Giorgio Moroder tra i quali l’“architetto “ del Munich disco sound Geoff Bastow, vede l’arrangiamento di un Gian Piero Reverberi dei Rondò Veneziano in grande spolvero. In sostanza, se i Kraftwerk usavano dei manichini, Al Bano e Romina usano invece delle bambole gonfiabili.

Faccia di cane è un singolo che fa storia a sé e infatti non è mai entrato in un album ufficiale dei New Trolls, che si gingillano tra campionatori e avveniristici suoni digitali ad alta definizione. Il sound non è l’unico aspetto importante del pezzo, c’è anche un testo di Fabrizio De Andrè, non accreditato, che narra di una città distopica fatta di emarginati che cercano di salvare chi sta peggio di loro mentre la gente li prende a calci mentre muoiono di fame. L’atmosfera fredda del brano è quindi cornice perfetta per la tematica quanto quei cori angelici sintetici che poi, nella musica dei 2000, sono diventati quasi una prassi diabolica. Non a caso vincono, inaspettatamente, il premio della critica.

Nel 1984 un gruppo si candida al ruolo di Depeche Mode italiani: sono i Canton che portano nella sezione nuove proposte un pezzo della premiata ditta Enrico Ruggeri-Luigi Schiavone ispirato chiaramente da un brano degli Ultravox, Sleepwalk. Almeno nel testo, che è in effetti un inno alla notte e alla perdita di coscienza che ne consegue. Un potente techno pop sull’orlo dell’Italo disco dove nulla è vero e tutto è permesso: il disco verrà poi inciso anche in inglese inaugurando una serie di progressi in sede internazionale, tanto che verranno poi prodotti addirittura da Stock, Aitken & Waterman prima di terminare la carriera a causa di un contratto capestro con la Ariston. In quel 1984 però arrivano quarti e sembra che anche in Italia ci si apra a una rivoluzione, una Synth Italia, altro che Synth Britannia.

Finardi a Sanremo ci è andato solo tre volte, questa è la prima. E con un look allampanato, quasi fosse un Ian Curtis italiano con tanto di occhiali da sole, porta questa soave ballata fatta solo di pad sintetici che si incastrano con una drum machine marziale, i violini di Giusto Pio e l’arrangiamento di quest’ultimo e di Battiato. Una specie di ambient “nipponica” che culla come un’onda radio e narra dell’incomunicabilità di coppia e di come in fondo si possa essere lontani anche dividendo lo stesso talamo. Tratto dall’album Colpi di fulmine, disco fatto quasi interamente con un Commodore 64, il pezzo può essere considerato uno dei primi esempi di Micromusic applicata. Non ottiene un grande piazzamento, ma la sua peculiarità basta a inserirlo tra i pezzi da ricordare.

Nel 1999, dopo la sbandata mondiale per l’alternative rock, c’è un ritorno di fiamma dell’elettronica in formato canzone. I Soerba sono tra i pochi in grado di non fare torto a nessuno dei due stili. Sodali dei Bluvertigo e raggiunta una certa notorietà con I Am Happy prodotto da Morgan, si presentano a Sanremo con un brano sull’alienazione che forse prefigura il vuoto comunicativo dei social degli imminenti anni 2000. Danno vita a una specie di elettropop sinfonico in cui l’orchestra e le macchine si legano a doppia mandata, come se l’umanità degli archi cercasse appoggio sullo scheletro elettronico, mantenendo quindi un andazzo fluttuante e straniante. Ottengono nella sezione giovani il decimo posto, ma meritavano come minimo il podio.

Il Banco del Mutuo Soccorso e l’elettronica? Ma siamo pazzi? Ebbene sì: a Sanremo 1985 il gruppo prog italiano per antonomasia abbandona gli strumenti elettrici. Non che prima non avessero lasciato alle spalle le loro formule consuete per una specie di pop wave colta che rasentava le esperienze riccardone dei Level 42 o di Nik Kershaw, senza voler scomodare i Duran Duran che tendenza la facevano, ma in questo caso l’unico strumento “vero” riconoscibile è la chitarra. Il resto è tutto sequenziato, midizzato e programmato dalla premiata coppia Pietro e Paolo Micioni, ovvero la storia della Italo disco e non solo. Qui si giunge a una sintesi perfetta di fusion techno pop che sa di avveniristico intrattenimento auricolare per realtà virtuali a tema avventura. La storia narra di due amici che si ritrovano dopo tanto tempo e decidono di svaccare in un viaggio assieme in Giamaica, così su due piedi: oddio solo amici, in realtà sembra un brano gay friendly. Arriverà al quindicesimo posto, ma è uno dei primi casi in Italia di uso della drum machine Linn, allora di ultima generazione.

Prima che Morgan entrasse in un vortice di megalomania, i Bluvertigo hanno attraversato una fase che avrebbe potuto farne i paladini di un radicale cambiamento nella musica italiana. Con Zero del 1999 sembrava quasi avessero abbandonato i cliché techno pop/wave che fino ad allora gli avevano regalato un consenso quasi universale, entrando in una zona maggiormente sperimentale e in linea con i tempi. Tutto sfuma dopo la partecipazione a Sanremo 2001, dove presentano la difficilissima L’assenzio, un rock elettronico che pende più verso l’elettronica nel quale tra effettistica, stacchi arditi, sequenze computerizzate, linee vocali cervellotiche e arrangiamenti d’archi tanto storti quanto pretenziosi raggiungono forse una sintesi di intenti. Non aiuterà l’atteggiamento “me la credo una cifra” di Morgan, tanto che il brano raggiungerà l’ultimo posto, entrando nella storia dei “fallimenti” sanremesi per eccellenza insieme al Vasco di Vita spericolata. Notare che il brano è scritto a quattro mani con Luca Urbani dei Soerba, che dopo il 1999 torna sul luogo del delitto anche se dietro le quinte.

Se vogliamo parlare di pionieri dell’elettronica a Sanremo non possiamo ignorare gli Albatros di Toto Cutugno, che in formazione hanno uno dei maghi del genere, Luigi Tonet. Nel brano si sentono minacciosi sintetizzatori che sfiammano droni e si producono in tappeti e inquietanti linee soliste, forse per la prima volta nella storia di Sanremo. Il pezzo è un eclatante esempio di elettrofunk di rottura, plumbeo, che sostiene perfettamente il tema scabroso di un aborto imposto, col protagonista che distrugge la relazione e la vita di una ragazza per il proprio egoismo (il finale vede grida belluine di un Cutugno pentito su un poderoso effetto di Boeing che parte, qualcosa all’epoca d’inaudito nel festival dei fiori). Tema sensibile a ridosso del referendum sull’aborto, che nonostante – o anzi proprio per questo – scuoterà il pubblico portando la band al terzo posto, naturalmente aiutata dalla drammaticità del sound sintetico.

Nell’86 i Righeira si presentano per la prima e ultima volta a Sanremo, presentando un pezzo formalmente inserito nel filone Italo disco ma che è invece quasi proto happy hardcore. Canzone scritta e suonata da Rocco Tanica (Elio e le Storie Tese), è un esempio di come usare bene campionatori, cut and paste plagiaristi (ai danni dei Beatles) e diavolerie midizzate in cui la macchina sembra esprimere, più che la solita freddezza, una solarità inusitata tipica appunto degli innamoramenti fulminanti. Gli arrangiamenti sono opera dei fratelli La Bionda, i re mida dell’elettronica danzereccia. Il brano sarà preso di mira dalla giuria proprio per la sua “esuberanza”, ma il pubblico gli riserverà un dignitosissimo nono posto nella classifica italiana e diverrà un piccolo classico in Germania. Ahimè, sarà anche l’ultimo guizzo dei Righeira che da questo momento imboccheranno la strada del declino. Restano impagabili le loro performance all’Ariston con tanto di acconciatura “a banana”, avanti mille anni in un’Italia ancora conservatrice.

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